Nel silenzio è il titolo della mostra di Pina Inferrera che include anche l’installazione Incammìnati Incamminàti di Luisa Mazza, in esposizione dal 21giugno 2013, in contemporanea al Rito della Luce 2013, all’interno del museo-albergo Atelier sul Mare.
La mostra di Inferrera è stata allocata nel bookshop del museo-albergo dove sono state allineate le opere stampate su carta lucida e alcuni light box. Le immagini appaiono molto pittoriche e per effetto del tipo di carta, il paesaggio guadagna una morbidezza in cui le acque e le terre dai toni ferrosi si illuminano fino a toni dorati per effetto della luce. Sono paesaggi che l’artista ha eseguito in Austria e che raccontano l’attraversamento di un luogo ferale che percorso con la sua macchina fotografica dopo averlo vissuto e indagato.
L’ambiente è un paesaggio-naturale, dove è vistosa la desertificazione incominciata molto tempo prima. Appaiono ceppi di piante tagliate o per meglio dire mozzate, rimasti a denunciare la trasformazione del luogo ad opera dell’uomo e il conseguente abbandono. La terra è scura, coperta in parte di alghe e d’acqua, e la luce, grande protagonista dosa i suoi riflessi a creare una dimensione onirica e magica. I ceppi hanno radici che sembrano zampe aggrappate al terreno o alla pietra dove sono rimaste appoggiate e allineate. Famiglie di ceppi-radici, o coppie di amanti abbracciati che sorprendentemente mantengono la vitalità della vita precedente, artigliate, e non paghe della loro nuova dimensione. La terra, roccia, acque riflettenti, alghe bianche sono lo sfondo di un mistero velato di ragnatele. Attraverso l’occhio fotografico che Pina Inferrera ha elaborato in questo luogo e sospeso per mostrarcelo, si può leggere l’attesa e sentire il rumore del silenzio. La solitudine non è sola. Un presagio.
L’installazione di Mazza è significativamente allusiva di un percorso interiore verso la perfettibilità dell’essere, la bellezza dell’equilibro e dell’armonia.
Si potrebbe parlare di Gradus ad Parnassum, Salita al Parnaso, monte delle Muse, facendo un riferimento musicale alla composizione di Muzio Clementi.
La ripetizione del termine, con uno spostamento d’accento, che denomina il lavoro, vuole essere un invito a mettersi in cammino o a constatarne il percorso compiuto, alle spalle.
La forma scelta dall’artista come tramite del messaggio è quella della sfera, la figura tridimensionale che arriva a far quasi coincidere la superficie con il volume, la forma esterna con la tensione interna, come, non a caso, accade per le iridate bolle di sapone, le gocce d’acqua, i corpi celesti.
Mentre i materiali sono quelli del cristallo, dell’acciaio specchiante, del plexiglass, che hanno le proprietà della trasparenza e della riflessione, della durezza e insieme della fragilità, componenti fondamentali per la lettura dell’opera di Luisa Mazza.
Collocati in doppio, come filari di alberi, su lastra specchiante di acciaio, i tubi di plexiglass, sormontati da globi di vetro soffiato che, da forme imperfette tendono a raggiungere una sfericità compiuta, accompagnano il visitatore, lungo il percorso reale e metaforico, verso un livello di consapevolezza, ma soprattutto di superamento dei conflitti scaturiti dalle contingenze quotidiane per accedere creativamente e poeticamente ad una condizione armonica.
Le sfere di vetro non cessano di riflettere, nel loro accadere, gli eventi esterni, come il fluire del pubblico, il mutare delle condizioni atmosferiche, della luce nelle ore del giorno e della notte. Un‘opera, visualmente minimale e matericamente glaciale, si riscalda, per così dire, e ricarica di emotività, nella sua valenza interattiva e metaforica, invitando e accompagnando il visitatore nel suo percorso di crescita spirituale e di conoscenza.
L'opera