Dopo il restauro_Una curva gettata alle spalle del tempo_Paolo Schiavocampo (9)

Una curva gettata alle spalle del tempo

Paolo Schiavocampo - 1988
Paolo Schiavocampo copia

Lungo la strada che conduce a Castel di Lucio si incontra una scultura che collega, pur dividendole, due strade come spartitraffico.

L’opera consiste in un monolite di cemento armato e ferro, collocato ai margini di una curva, che si avvolge su se stesso imitando il movimento di una vela metallica battuta dal vento. Ferro e cemento disegnano quest’opera che vive grazie al vento che silenzioso sale dal mare. La sua linea riproduce in verticale la curva della strada.

L’opera, posta in uno spazio di campagna che traccia una curva a gomito, divide la via antica dalla nuova, non isolandosi ma inserendosi nel percorso, come un punto focale. Un punto, quindi, di mistero, che unisce il passato al futuro e recupera ciò che è stato: i luoghi, la quiete, le cose, le tradizioni, proiettandoli, indirizzandoli, dopo una pausa, al futuro.

Schiavocampo intendeva realizzare una scultura che fosse al di fuori dell’eterno scorrere del tempo, voleva estrarre questo eterno movimento da una direzione ben precisa: avanti o indietro. Una volta entrati nella curva lo scorrere del tempo si deforma e non permette di capire la direzione o la meta, tutto diventa astrazione.

Il luogo brullo permette questo stato, perché la storia non ha avuto modo di passare visibilmente, così l’osservatore si trova in una condizione di totale irrealtà.

“Pensai – dice Schiavocampo – a un punto di riferimento andaluso e lorchiano ‘Cruz. Punto final del Camino’ e che questo punto di riferimento avesse insieme una sua verticalità e apparisse come mosso dal vento silenzioso che saliva dal mare”.
Un luogo di passaggio, raccolto e a misura d’uomo, segnato dalle pietre: pietra vecchia e pietra nuova, pietra-sedile, pietra-dolmen. È la memoria del passato della pietra, il suo essere natura e segno, utensile e monumento. E la pietra del fiume sulla cui disordinata casualità si erge all’inizio la fierezza drammatica della domanda, e che diviene reliquia di mare sotto l’onda dove quella domanda invece si adagia placata dall’orizzonte lontano, qui si trasforma come una pietra filosofale, comprendendo nello spazio di una curva la sua storia e il suo futuro. Anche la forma non mantiene più la sua identità, che sembra variare con il passaggio del vento, è organica, vive nelle sue sinuosità che la trasformano.

In fotografia appare in tutta la sua monumentalità e grandezza, ma da vicino assume delle dimensioni umane. Sembra di essere al cospetto di un cavaliere medioevale, vestito della sua armatura, così come lo è la scultura di Schiavocampo, avvolta ancora dalle fasce in ferro che hanno contribuito alla sua creazione, come se il tempo fosse finito in quel momento, e la scultura fosse diventata infinita, immersa in un eterno farsi; qui il tempo lascia i suoi segni nella ruggine che ne scrive sull’armatura il suo lento passare.
Con l’ultimo restauro, avviato nel 2016, si è colta l’occasione per compiere un’azione completamente innovativa: generare attorno alla scultura madre una nuova opera, una monumentale struttura in acciaio che la avvolge. Accanto a questa è stato posto uno Stonehenge in marmo rosso di San Marco d’Alunzio.